Insulino-resistenza, tutto quello che c’è da sapere
L’insulino-resistenza o resistenza insulinica è una condizione in cui le cellule dei tessuti periferici (fegato, muscolo, tessuto adiposo e cuore) rispondono in modo inefficace all’insulina, ormone che regola il glucosio. Le cellule diventano meno sensibili, richiedendo al pancreas una maggiore produzione di insulina per il normale assorbimento di glucosio. Questo squilibrio può portare a alti livelli di zucchero nel sangue, aumentando il rischio di diabete tipo 2. La resistenza all’insulina è spesso associata a obesità, inattività fisica e fattori genetici. Può causare problemi metabolici, infiammazione e contribuire a disturbi cardiovascolari. La gestione coinvolge spesso cambiamenti nello stile di vita, come dieta sana e attività fisica. Nei soggetti sani si ha una normale sensibilità dei tessuti all’insulina, dunque in condizioni normali l’insulino-resistenza è assente.
Indice:
Range di normalità insulinica e HOMA INDEX
Sebbene i valori normali dell’insulina ematica a digiuno siano compresi tra 4 e 24 microunità/mL di sangue, già valori superiori a 10 microunità/mL sono un campanello di allarme. Per stabilire con maggiore precisione l’insulino-resistenza di un paziente è stato definito l’HOMA INDEX. Si calcola con la seguente formula:
HOMA Index = (glicemia x insulinemia) / 405 [la glicemia è espressa in mg/dL e l’insulina in mU/L]
Si parla di insulino-resistenza se l’HOMA INDEX è superiore 2,5, mentre valori al di sotto di questa soglia indicano una normale sensibilità all’azione dell’insulina. Individui con HOMA INDEX elevato possono trarre beneficio da diete low-carb e chetogeniche, approcci alimentari che hanno dimostrato di migliorare la gestione dell’insulino-resistenza. Questo approccio mirato contribuisce a personalizzare la gestione metabolica, ottimizzando la salute attraverso scelte alimentari adatte al mantenimento dell’equilibrio glucidico.
Insulino resistenza sintomi e valori
Un individuo insulino resistente può manifestare diversi sintomi e segni, tra cui:
- Aumento della fame: L’organismo potrebbe reagire all’incapacità delle cellule di rispondere adeguatamente all’insulina richiedendo più energia, manifestandosi con un aumento dell’appetito.
- Aumento della sete e della frequenza di minzione: Livelli elevati di zucchero nel sangue possono portare a un aumento della sete e della produzione di urine.
- Aumento di peso: L’insulino resistenza è spesso associata a un aumento di peso, in particolare grasso viscerale ed intorno all’addome.
- Fatica: La resistenza all’insulina può influire sull’efficienza dell’utilizzo del glucosio da parte delle cellule, portando a una sensazione di stanchezza e affaticamento.
- Irritabilità: Fluttuazioni nei livelli di zucchero nel sangue possono influire sull’umore, causando irritabilità.
- Pelle scura e ispessita: In alcune persone con insulino resistenza, può verificarsi una condizione chiamata acanthosis nigricans, che si manifesta con la comparsa di pelle scura e ispessita, spesso intorno al collo o alle ascelle.
- Aumento della pressione sanguigna: L’insulino resistenza è correlata a un aumento del rischio di ipertensione.
- Alterazioni lipidiche: Può verificarsi un aumento dei trigliceridi e una diminuzione del colesterolo HDL.
È importante notare che questi sintomi possono variare da persona a persona e che la presenza di uno o più di essi non è necessariamente indicativa di insulino-resistenza. Una diagnosi accurata richiede valutazioni cliniche, test di laboratorio e consulenza medica.
Le conseguenze
L’insulino-resistenza può generare differenti patologie se non trattata:
- alterata glicemia a digiuno (IFG) e diabete mellito di tipo 2
- ipertensione arteriosa
- steatosi epatica
- obesità
- dislipidemia (compresa ipertrigliceridemia)
- sindrome dell’ovaio policistico (PCOS)
- aumento del rischio di malattie dell’apparato cardiocircolatorio (cardiopatia ischemica compreso infarto del miocardio e ictus/stroke cerebrale)
Obesità: causa e conseguenza
L’insulino-resistenza è profondamente interconnessa con l’obesità, in particolare con la deposizione di grasso viscerale. L’eccesso di tessuto adiposo, caratterizzato da adipociti ipertrofici, diventa sia causa che conseguenza di questa condizione. Nel contesto dell’obesità, si osserva un aumento del tessuto adiposo, con cellule adipose ingrandite, e la presenza di un’infiltrazione infiammatoria composta da macrofagi.
Questo stato infiammatorio è direttamente correlato all’ampiezza del tessuto adiposo e al livello di infiammazione sistemica. Inoltre, si nota una relazione inversamente proporzionale tra la presenza di questo infiltrato infiammatorio e la sensibilità insulinica. In sostanza, all’aumentare dell’obesità, la risposta infiammatoria nel tessuto adiposo può ostacolare la capacità delle cellule di rispondere all’insulina.
Simultaneamente, gli adipociti ipertrofici e insulino-resistenti rilasciano una maggiore quantità di acidi grassi liberi nel circolo sanguigno. Questi acidi grassi liberi possono accumularsi nel muscolo e nel fegato, contribuendo a rendere anche questi organi meno responsivi all’insulina. Questo circolo vizioso crea un ambiente metabolico sfavorevole, in cui l’obesità non solo è una conseguenza dell’insulino resistenza, ma anche una causa significativa di ulteriore deterioramento della sensibilità insulinica.
Affrontare l’obesità attraverso modifiche dello stile di vita, come una dieta equilibrata e l’esercizio fisico regolare, è cruciale per mitigare l’insulino resistenza. La comprensione di questa complessa interazione tra obesità e insulino resistenza fornisce una base essenziale per lo sviluppo di strategie preventive e terapeutiche mirate a migliorare la salute metabolica e prevenire le complicanze correlate.
Adiponectina: l’ormone che combatte l’arteriosclerosi
L’adiponectina è un adipochina insulino-sensibilizzante rilasciata dal tessuto adiposo. Questo ormone ha caratteristiche anti-aterogeniche e antinfiammatorie.
Gli adipociti di pazienti obesi producono meno adiponectina.
Gli individui con maggiore estensione di massa grassa (sovrappeso e obesi) hanno minori concentrazioni di adiponectina nel sangue, e questo è correlato inversamente con l’indice di massa corporea, con la glicemia, con la pressione arteriosa sistolica, con i livelli di insulina nel sangue e con quelli di colesterolo, trigliceridi e acido urico. La perdita di massa grassa per questi individui, tra i tanti benefici, porterà a un aumento della produzione di adiponectina con tutti i benefici correlati.
La leptina è un’altra adipochina degna di nota (dal greco leptos=magro). Essendo un’adipochina, anch’essa è secreta dal tessuto adiposo ed è coinvolta nella regolazione del metabolismo. I recettori di quest’ormone sono localizzati nell’ipotalamo, una regione encefalica deputata al controllo di funzioni omeostatiche: fame e controllo del peso, sete e osmolarità plasmatica, temperatura corporea, pressione sanguigna e frequenza cardiaca, ritmo circadiano sonno-veglia. La leptina legandosi ai suoi recettori ipotalamici inibisce il senso della fame (ormone anoressizzante). I suoi livelli aumentano dopo il pasto e si riducono progressivamente nel digiuno. In pratica la leptina segnala all’ipotalamo che l’introito di nutrienti è sufficiente e che non è più necessario introdurre calorie.
I suoi livelli ematici sono proporzionali alla massa grassa, maggiori nei pazienti obesi e minori nei pazienti normopeso.
I pazienti obesi, non solo presentano insulino-resistenza, ma anche leptino-resistenza: il loro tessuto adiposo produce leptina ma l’ipotalamo è sordo al suo messaggio e il paziente obeso continua a mangiare.
Insulinoresistenza e ipertensione
Esiste un legame particolarmente forte tra insulino-resistenza e ipertensione. L’insulina attiva in modo diretto i nuclei del midollo allungato, determinando un’attivazione del sistema nervoso simpatico, con rilascio delle catecolamine adrenalina e noradrenalina. Questo si traduce in un aumento dei valori medi di pressione arteriosa.
Il rilascio di catecolamine inoltre induce due meccanismi a carico di fegato e muscolo che perpetuano l’insulino resistenza:
- nel fegato le catecolamine (adrenalina e noradrenalina) inducono glicogenolisi e gluconeogenesi determinando un aumento della glicemia. Il pancreas in risposta all’aumento della glicemia produrrà più insulina.
- d’altra parte la stimolazione dei recettori beta-adrenergici del muscolo da parte delle catecolamine diminuisce la sensibilità del tessuto muscolare all’insulina (generando insulino-resistenza).
Questi meccanismi in condizioni fisiologiche servono affinché il glucosio sia prontamente disponibile per l’organismo nella reazione di attacco o fuga (ossia in condizioni di allarme).
In condizioni patologiche però si crea un vero e proprio circolo vizioso in cui l’insulina attivando il sistema nervoso simpatico conduce il pancreas a produrre più insulina e scatenando meccanismi di insulino-resistenza.
L’insulina è in grado di condurre all’ipertensione arteriosa anche con un meccanismo periferico. L’insulina come abbiamo detto è un potente mitogeno, stimola la proliferazione delle cellule. Lo fa particolarmente a livello delle cellule muscolari lisce delle arteriole vasali. Questo porta a un aumento delle resistenze arteriolari al flusso ematico con conseguente ipertensione.
Anche se non si tengono a mente tutti i passaggi eziopatogenetici, l’importante è comprendere che corretti livelli di insulina e glicemia servono alla prevenzione di molte condizioni morbose.
Combattere l’insulino-resistenza
Il primo passo da fare per regolarizzare i livelli di insulina e la sensibilità dei tessuti periferici ad essa è normalizzare il peso corporeo e la composizione corporea aumentando la massa magra (muscoli) e diminuendo la massa grassa (il tessuto adiposo).
Lo stimolo ad aumentare la massa muscolare è fondamentale. Una valida massa muscolare è sinonimo di salute in quanto contribuisce al metabolismo basale in modo sensibile.
Più aumenta il tessuto muscolare e più aumenta il metabolismo basale con il conseguente consumo di macronutrienti anche a riposo (quando cioè il muscolo non sta lavorando). Esistono molteplici strategie di allenamento per fare questo. Esse vanno discusse con il medico di fiducia e con il preparatore atletico prima di iniziare.
Come già visto nell’articolo sull’insulina, l’esercizio fisico di durata ha un’azione insulino-sensibilizzante perché stimola l’espressione sulle cellule muscolari del trasportatore del glucosio GLUT-4, in seguito alla diminuzione del glicogeno intramuscolare. Anche l’aumento del flusso ematico e la contrazione muscolare stessa portano all’aumento dell’espressione di GLUT4, per questa ragione anche esercizi di tipo anerobico contribuiscono a diminuire l’insulino resistenza.
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